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Storie Viola

Started by Chiesa, 22/11/17, 18:24

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Chiesa

La nevicata di Gubbio e un mito da sfatare

Perché negli anni si è dato importanza ad una trasferta "come tante altre" e perché rifarsi sempre a Gubbio come capro espiatorio?

Nei suoi novantuno anni di storia la Fiorentina ha alternato periodi di grande esaltazione ad altri di assoluto anonimato e depressione sportiva, ma nella mente dei tifosi viola esiste un punto di rottura, di svolta, un "io c'ero" che nell'immaginario comune riporta allo stato primordiale, a quel calcio pane e salame che in tanti rimpiangono e nel quale tutt'ora si identificano. Esistono trasferte mitiche, campi nel quale la Fiorentina ha trionfato in giro per l'Italia e per il mondo. Come dimenticare la gloriosa squadra che uscì sconfitta al Bernabeu dal Real di Kopa, Gento e Di Stefano nella finale di Coppa dei Campioni '57, i Leoni di Highbury che vinsero nel '61 la Coppa delle Coppe, oppure Batistuta che silenzia il Camp Nou ed espugna Wembley; il freddo di Kiev e le lontane Baku o Dnipropetrovsk.

Esiste però un piccolo campo nella periferia calcistica italiana in provincia di Perugia, che possiede qualcosa di mitologico, nostalgico, senza apparenti meriti sportivi. La Fiorentina quel 16 marzo del 2003 si chiamava ancora Florentia Viola, giocava in C2 dopo il fallimento dell'estate precedente e si apprestava a disputare la volata finale per riavvicinarsi al calcio che conta. Lo stadio era il San Biagio – Piero Barbetti di Gubbio, e il clima era più vicino (forse inferiore) agli 0° che all'imminente primavera. Nevicava a Gubbio, ma anche grazie all'ausilio di alcuni dei temerari tifosi viola presenti armati di pale, si giocò una partita nel gelo tutt'altro che memorabile. 0-0 al termine di novanta sofferti minuti per Riganò e compagni, in dieci nel finale per il rosso sventolato al prode Cherubini e graziati all'ultimo respiro dall'incrocio dei pali colpito su rigore da Giovanni Cipolla, il più talentuoso di una banda di onesti mestieranti delle serie minori, che consentì alla Florentia di Cavasin di staccare ulteriormente e definitivamente il Rimini.

Ma perché Gubbio nell'immaginario comune è diventato un posto così leggendario per la storia recente viola e perché in era dellavalliana quando le cose prendono una brutta piega ci si appella a quel gelido giorno di marzo come capro espiatorio? A sfatare il mito riguardante Gubbio e quella partita ci pensa il presidente dell'Atf Federico De Sinopoli, che definisce quella umbra "una trasferta insignificante, una delle tante di quella stagione su cui mettere una pietra sopra". Per chi come lui ha alle spalle quasi 800 viaggi in giro per l'Italia e l'Europa con il giglio sul petto "è una domenica da smitizzare, che non ha cambiato le sorti di quel campionato. Possiamo casomai ricordare quella di Rimini – dove la Florentia grazie al gol della meteora Ekye Bismarck si prese senza più cedere la prima posizione – e la prima ad Arezzo" anche se la voglia di ripensare a quel periodo è poca. E allora è forse giunto il momento di superare la nevicata di Gubbio, momento populista, di unione e divisione, punto di non ritorno e panacea di tutti i mali. Meglio la notte di Anfield, di Eindhoven, la batosta di Siviglia e l'amarezza dell'Allianz Arena, che dibattere ancora su Gubbio e la C2.

Pier F. Montalbano
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STORIE VIOLA: 15 luglio 2013, il Franchi si veste a festa per Mario Gomez

Un calcio pomeriggio di mezza estate si trasforma in una festa per accogliere al Franchi Mario Gomez. Poi la storia non è andata come tutti si aspettavano...

Quando parliamo di Mario Gomez, stiamo maneggiando uno dei più grandi rimpianti della recente storia della Fiorentina. Forse il più grande, pensando a quello che sarebbe stato se lui e Giuseppe Rossi fossero riusciti a vestire la maglia viola con maggiore continuità. E invece la sfortuna e soprattutto gli infortuni hanno fagocitato le ambizioni di una società che da quel momento in poi ha deciso di chiudere i rubinetti e spazzare via i sogni di un'intera tifoseria. Diciotto milioni di cartellino, un ingaggio faraonico che la Fiorentina è riuscita ad ammortizzare solo in parte ma ha condizionato i bilanci per almeno tre stagioni e soprattutto pochissimi gol rispetto al pedigree internazionale di quello che era considerato uno dei più affermati bomber a livello europeo.



Ma quel 15 luglio del 2013 l'aria al Franchi era elettrica, si respirava a fatica per il caldo e il protagonista più atteso stentava ad arrivare. I vigili del fuoco placavano i bollenti spiriti di 25000 persone con gli idranti che rischiavano di bagnare gli smartphone pronti ad immortalare l'arrivo di un nuovo beniamino. Già, uno stadio stracolmo per l'acquisto di un giocatore solitamente lo si vede al Bernabeu o al Camp Nou, ma lì ci sono abituati. A Campo di Marte invece una cosa del genere non si era mai vista e l'ultima volta che il Franchi si era riempito per qualcosa di simile fu per omaggiare Manuel Rui Costa nel 2001, quando il numero 10 portoghese lasciava tra le lacrime una Fiorentina che di lì a un anno sarebbe affondata in C2. Ma eccolo arrivato acclamato dallo speaker, con la sua maglia numero 33, una compagna splendida e tanto entusiasmo che contagia immediatamente il popolo viola e anche un elettrizzato Andrea Della Valle in versione anchorman. La gente si esalta, canta, fotografa e compra magliette speciali alla modica cifra di 80 euro, quasi non crede che un campione affermato come Gomez sia adesso 'uno di noi'. L'avvio è promettente: due gol al Genoa alla seconda di campionato, l'intesa con Cuadrado e Pepito che sembra già esserci. Poi il crac: il 15 settembre il tedesco non riesce ad evitare lo scontro con Agazzi del Cagliari: la diagnosi recita "lesione distrattiva di II° grado del legamento collaterale mediale del ginocchio destro" due mesi lontano dai campi che diventano cinque per un'infiammazione alla zampa d'oca, cartilagine sconosciuta ai più ma sulla bocca di tutti a Firenze in quel periodo.

Rientrerà il 15 febbraio del 2014 ma poco più di un mese dopo al San Paolo di Napoli salta anche l'altro: "lesione di I grado del legamento collaterale mediale del ginocchio sinistro". Stagione finita e addio mondiali, con la sua Germania che alzerà la Coppa del Mondo a Rio de Janeiro. La seconda annata andrà meglio dal punto di vista degli infortuni – solo due mesi out ad inizio stagione – ma la via del gol sembra perduta e il malcontento cresce attorno alle sue deludenti prestazioni e la sua parabola in riva all'Arno terminerà di fatto dopo il battibecco con Montella durante Fiorentina-Siviglia di Europa League. Tanti, troppi errori incredibili sotto porta, Gomez alla Fiorentina è stato la copia sbiadita di se stesso. Prima al Besiktas, poi al Wolfsburg si riprenderà i gol e la Mannschaft, trascinerà prima i turchi allo scudetto, poi i lupi alla salvezza. "Ho scelto la Fiorentina in fretta e mi pento di questo" ha dichiarato un anno fa. Ma quel pomeriggio di luglio al Franchi si viveva un sogno ad occhi aperti.



Pier F. Montalbano
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98/99, ossia la stagione del vorrei ma non posso

La bomba carta di Salerno, l'infortunio di Batistuta e la saudade di Edmundo. Una stagione da sogno per la Fiorentina che diventerà un tabù

Per i tifosi viola la stagione 98/99 è stata un'altalena di emozioni, la prima dopo sedici anni in cui a Firenze circolò nuovamente la parola Scudetto, ma si trasformò nella stagione dei rimpianti culminata nel terzo posto finale alle spalle di Milan e Lazio e in una finale di Coppa Italia persa. Ma andiamo con ordine: in estate la Fiorentina cambia guida tecnica, via Malesani che va a Parma – una squadra che riecheggerà sinistra in quell'annata – e dentro Trapattoni, uno che ha scritto pagine gloriose della storia juventina accolto tra i mugugni. Arrivano giocatori di caratura internazionale, quali Amor dal Barcellona, Heinrich dal Borussia Dortmund, Repka dallo Sparta Praga e Torricelli dalla Juve, più qualche gregario di contorno come Esposito dall'Empoli. La squadra parte forte, vince quasi sempre – inciampando all'Olimpico contro la Roma sotto i colpi della meteora Gustavo Bartelt – e viaggia spedita sia in campionato che nelle coppe.

La prima sliding door della stagione arriva il 25 ottobre quando al Franchi la Salernitana viene demolita dalle doppiette di Edmundo e Batistuta, ma ci saranno tafferugli tra le tifoserie (ahi). Il 3 novembre infatti la Fiorentina va a Salerno per il ritorno dei sedicesimi di Coppa Uefa contro il Grasshoppers, complice la squalifica del campo dopo la sassaiola di monetine di un anno prima contro il Barcellona, e qualcuno nella città campana ha voglia di vendicarsi. 1-2 in Svizzera, 2-0 alla fine del primo tempo e qualificazione messa in saccoccia, ma dalla curva deserta dell'Arechi alcuni tifosi locali lanciano una bomba carta che ferisce il guardalinee e stordisce Lulù Olivera che aveva appena messo a segno una doppietta. Partita sospesa, qualificazione per gli svizzeri a tavolino, considerata oggettiva la responsabilità dei viola per l'accaduto. A niente valgono ricorsi e appelli, addio Coppa Uefa.

In campionato però la squadra riparte, e si candida Campione d'Inverno dopo il 4-2 al Cagliari del 17 gennaio 1999. Batistuta è una macchina perfetta da gol, Rui Costa inventa, Edmundo incanta, Oliveira si sacrifica e ognuno dà il suo contributo. La rosa però è corta, troppo corta, e a gennaio arriva il solo Ficini dall'Empoli. Un azzardo che non ripagherà Vittorio Cecchi Gori. Il 7 febbraio a Firenze arriva il Milan, è 0-0 fino quasi al 90′ quando Batistuta lanciato verso la porta di Abbiati si ferma e si accascia al suolo: lo stadio si ammutolisce. Stiramento al collaterale dirà il referto medico, una pietra tombale sul terzo scudetto. Sì perché Trapattoni non trova le contromisure e perde Edmundo che se ne esce fuori con una leggendaria clausola contrattuale che gli permette di andarsene in Brasile durante il periodo del Carnevale. Circa venti giorni di vacanza a ritmo di samba e a tracannare cachaça nel bel mezzo della stagione, avallato dalla parola di un VCG oltremodo permissivo.

La Fiorentina va a singhiozzo in quel girone di ritorno, dice addio ai sogni tricolore ma riesce comunque a conservare il terzo posto in campionato che vuol dire Champions League. Ci penserà Malesani, il Parma e Paolo Vanoli a trasformare quella che poteva essere un'annata da sogno a una da incubo. Nella finale di Coppa Italia infatti i viola sono avanti 2-1 (gol di Repka e Cois dopo l'1-1 del Tardini) ma il terzino mancino sul cross di Enrico Chiesa gela tutti quanti. Due anni dopo i protagonisti cambieranno sponda e regaleranno alla Fiorentina l'ultimo trofeo della sua storia, ma i gialloblu – grazie ancora ad un Paolo Vanoli in versione goleador – si porteranno a casa anche la Coppa Uefa rifilando un secco 3-0 al Marsiglia. Già, quella coppa dalla quale la Fiorentina era stata estromessa senza colpe da cinque salernitani che avevano voglia di vendicarsi.





Pier F. Montalbano
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Baggio torna al Franchi e raccoglie la sciarpa viola

Il 16 aprile 1991 per la prima volta Roberto Baggio torna a Firenze da avversario: non calcerà il rigore e all'uscita dal campo raccoglierà una sciarpa viola lanciata dalla tribuna

Una sciarpa raccolta all'uscita dal campo, un gesto tanto semplice quanto spontaneo in segno di amore e di rispetto è l'icona di quello che Firenze e la Fiorentina hanno rappresentato per Roberto Baggio. Il divin codino di quel gesto si è reso protagonista nella partita per lui forse più dura, la prima da avversario della Fiorentina il 6 aprile del 1991 quando tornò sul prato del Franchi con la maglia della Juventus. L'odiata Juventus, che pochi mesi prima l'aveva strappato ai viola e che aveva causato in città scontri e contestazioni. Il 18 maggio del 1990 infatti Firenze aveva vissuto una giornata bollente, in particolare davanti alla vecchia sede in piazza Savonarola dove il manager di Baggio, Antonio Caliendo, aveva convocato una conferenza stampa per annunciare che i Pontello avevano di fatto dato il via libera al passaggio ai bianconeri per la cifra record per l'epoca di 25 miliardi di lire, più di quanto il Napoli pagò per Maradona.

Erano anni duri, in cui le schermaglie tra Fiorentina e Juventus sfociavano oltre la mera rivalità calcistica. Pochi giorni prima del trasferimento di Roberto Baggio, era infatti andata in scena la sporca finale di Coppa Uefa del 1990, con il contestatissimo 3-1 dell'andata e il ritorno giocato nel feudo bianconero di Avellino. In questo clima di guerriglia Firenze fu blindata: la sede di piazza Savonarola assaltata a colpi di sassate e bottigliate da 500 tifosi inferociti, casa dei Pontello – che da lì a pochi mesi avrebbero ceduto la società a Mario Cecchi Gori – e il centro sportivo di Coverciano, dove Baggio e l'Italia preparavano il Mondiale del '90,  sorvegliati dalla polizia. Ma alla fine il trasferimento si farà, e Baggio alla presentazione con la nuova maglia rifiuterà addirittura di mettersi al collo la sciarpa juventina.



Privata del suo faro, e dunque indebolita dal punto di vista tecnico – al suo posto arrivarono Fuser in prestito dal Milan, Massimo Orlando e Marius Lacatus – la Fiorentina con Sebastiao Lazaroni in panchina fatica ma si toglierà lo sfizio di battere gli odiati rivali in un indimenticabile pomeriggio di aprile, nel quale Mareggini si trasformerà in uomo ragno e neutralizzerà il calcio di rigore di De Agostini. Quel giorno il Franchi si vestì a festa, con una delle coreografie più belle mai andate in scena – migliaia di bandierine bianche e viola che riproducevano Firenze e i suoi monumenti – e spinse in porta la punizione perfetta di Diego Fuser che valse la vittoria per 1-0. Baggio quel rigore nel secondo tempo non lo calciò, e quando fu sostituito da Maifredi al 64′ salutò la tribuna e si piegò per raccogliere quella sciarpa viola. Lui che grazie a quel colore era diventato calciatore e uomo, aveva sofferto per i mille infortuni e si era sempre rialzato tanto da diventare simbolo di una nazionale e di una nazione intera.

Pier F. Montalbano
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La Coppa Italia del 2001, ultimo trofeo nella bacheca della Fiorentina

Domani torna la Coppa Italia con i viola impegnati contro la Lazio. Oggi ripercorriamo l'ultimo trionfo della Fiorentina nel 2001

Il feeling tra la Fiorentina e la Coppa Italia nasce nel lontano 1940, quando la squadra allora allenata da Giuseppe Galluzzi – figura di spicco del calcio fiorentino degli anni venti prima con la maglia del CS poi con quella della Libertas, infine con quella viola – il 17 giugno conquistò il primo trofeo della sua storia battendo 1-0 il Genoa con il gol di Mario Celoria. La seconda affermazione nella coppa nazionale è datata 60-61, quando i Leoni di Highbury che da due settimane avevano conquistato la Coppa delle Coppe riuscirono a battere la Lazio a San Siro grazie alle reti di Gianfranco Petris e Luigi Milan. Pochi anni dopo, nel 1966 la Fiorentina si aggiudicò la terza coccarda tricolore superando al 120′ il Catanzaro con un rigore di Mario Bertini. Il quarto titolo arrivò nel 1974, al termine di una battaglia a suon di gol il Milan (3-2 il risultato finale), mentre a distanza di oltre vent'anni, nel 1996 arriva il quinto sigillo nella doppia finale con l'Atalanta targato Gabriel Omar Batistuta (1-0 al Franchi, 0-2 con rete anche di Amoruso all'Atleti Azzurri d'Italia).

Nel 2001 a Firenze e attorno alla Fiorentina non tira una bella aria. Si vedono le prime crepe della gestione Cecchi Gori, dopo due annate che avevano visto la squadra di Trapattoni spingersi prima fino al terzo posto in classifica e successivamente quasi ai quarti di Champions League. Al timone dei viola c'è Fatih Terim, che fatica in campionato nonostante un Enrico Chiesa da 22 gol, e viene subito eliminato dalla Coppa Uefa dai modestissimi austriaci del Tirol Innsbruck. Nonostante questo la squadra di Terim diverte e tra alti e bassi, segna e subisce tanto alternando prestazioni strabilianti come il 4-0 al Milan ad altrettanti scivoloni dolorosi e cali di attenzione in fase difensiva. In Coppa Italia però i viola sono un'autentica macchina da gol, e negli ottavi rifilano otto gol alla Salernitana tra andata e ritorno. Ininfluente invece il 3-1 subito nei quarti dal Brescia dopo il travolgente 6-0 dell'andata al Franchi. Si arriva così alla semifinale, dove ad attendere Rui Costa e compagni è il Milan di Shevchenko: 2-2 a San Siro il 25 gennaio 2001, con la viola che scappa due volte con Chiesa e Bressan ma viene ripresa prima da Ambrosini e poi da Giunti al 90′. Il capolavoro arriva due settimane dopo con ancora Chiesa e Rui Costa che spediscono la Fiorentina in finale e fanno esplodere un Franchi stracolmo.


Fiorentina-Napoli 2000/2001 Foto di gruppo con la Coppa Italia

Nel frattempo però le divergenze tra Cecchi Gori e Terim prendono una piega irreversibile e il 24 febbraio dopo il pareggio interno con il Brescia il caos pervade gli spogliatoi del Franchi, con il presidente che attacca l'allenatore e il silenzio stampa imposto dalla società che preannuncia il cambio di guida tecnica. Se ne va anche Giancarlo Antongnoni e viene chiamato Roberto Mancini, che 'decolla' in fretta e furia da Cortina in direzione Firenze per affrontare la sua prima esperienza da capo allenatore in panchina. In campionato le cose non migliorano tantissimo (la Fiorentina chiuderà infatti nona), ma c'è da giocare una finale di Coppa Italia contro l'ex Malesani e il 24 maggio al Tardini i viola – nuovamente e scaramanticamente vestiti in grigio – con un gol nei minuti finali di Paolo Vanoli vedono il sesto trofeo. Al ritorno, il 13 giugno, il Franchi è pronto a festeggiare ma Milosevic fa calare il silenzio alla fine del primo tempo. Nuno Gomes grazie all'assist no-look di Rui Costa segna l'1-1 e riporta la coppa a Firenze, ma da lì in poi sarà una lunga discesa verso gli inferi. Il n° 10 portoghese e Toldo si congedano con un trofeo, che al momento resta l'ultimo in bacheca dalla Fiorentina, poi ci sarà la messa in mora della società, la retrocessione e il fallimento del 2002.

La storia recente nella seconda competizione nazionale recita invece una semifinale nel 2010 persa contro l'Inter del triplete e la finale dell'Olimpico nel 2013 con il Napoli persa al termine di una serata surreale al di fuori del rettangolo verde. Domani invece la Fiorentina proverà a farsi un regalo di Natale contro la Lazio di Simone Inzaghi, ostacolo duro ma non impossibile (il pareggio di qualche settimana docet). E anche se la Coppa Italia – come il campionato – è diventato un club esclusivo per pochi, può tornare ad essere un sogno e una speranza per portare il primo trofeo della gestione Della Valle.

Pier F. Montalbano
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1988, il Franchi rende omaggio ad Antognoni. E venerdì torna Borja Valero...

Il 21 febbraio 1988 Antognoni torna a Firenze da avversario dopo il suo passaggio al Losanna. Venerdì tornerà Borja Valero: quale accoglienza per lo spagnolo? VOTA IL SONDAGGIO

Un brivido che corre lungo la schiena uscendo dal tunnel degli spogliatoi e salendo le scale che portano al terreno di gioco, emozioni forti e ricordi ripensando agli anni (cinque) vissuti con la maglia viola cucita addosso e l'affetto smisurato dei tifosi che lo hanno sempre sostenuto e identificato come uno di loro. Venerdì sera Borja Valero tornerà per la prima volta al Franchi da avversario, dopo che il destino esattamente un girone fa ha voluto che Inter e Fiorentina si trovassero di fronte alla prima giornata di campionato. Lui che si era tatuato addosso Firenze e i colori viola e che insieme alla compagna Rocio si era lasciato incantare dalla città nella scorsa estate si è trovato dall'altra parte della barricata per la gioia di Spalletti, che finalmente avrebbe potuto allenare il calciatore chiesto a più riprese anche quando era alla Roma.

Tra Borja Valero e Giancarlo Antognoni il paragone – con tutto il rispetto e la stima per lo spagnolo – non può reggere, vista la dedizione e l'attaccamento dimostrato dall'Unico 10 alla causa viola. Un amore durato quindici anni, record di presenze sbriciolato e tutt'ora imbattuto e una venerazione proseguita anche quando la sua carriera da calciatore viola si interruppe nell'estate del 1987 quando Antonio fece le valigie e si accasò al Losanna.

Il 17 maggio di quell'anno Antognoni recitò l'ultimo atto in maglia viola, ma il suo mito non si è mai interrotto. Contro l'Atalanta arriva una vittoria per 1-0 che relega i bergamaschi in Serie B e colloca la Fiorentina al nono posto chiudendo un'annata piuttosto complicata e segnata da tanti problemi fisici. Trentatre anni e un corpo provato dai numerosi infortuni avevano costretto l'Unico 10 ad arretrare la sua posizione in mezzo al campo e Sven Goran Eriksson, l'allenatore svedese che sarebbe arrivato per la stagione successiva, non prevedeva l'utilizzo di un regista. Il capitano accetta così la ricca offerta degli svizzeri (1,2 miliardi in 2 stagioni rispetto ai 300 milioni offerti dai Pontello per l'ultimo anno da calciatore più altri 400 per due anni da dirigente) e saluta Firenze dopo un'epopea lunghissima e costellata di gioie&dolori.



Il 18 giugno Antognoni è in Svizzera e chiude insieme al suo procuratore e amico Mario Morgante la trattativa con il Losanna. Debutterà due mesi dopo, quando un pezzo di Curva Fiesole tinge di viola la "capitale" Olimpica e gli tributa il giusto saluto. Alcuni tifosi – in aperta contestazione con la proprietà – fonderà addirittura un Losanna Club a Firenze per rimarcare l'affetto e la devozione verso Giancarlo. Nel febbraio del 1988 verrà inoltre disputata un'amichevole tra la Fiorentina e gli svizzeri, l'ultimo cameo della bandiera viola sul prato di Campo di Marte. Finirà 1-1 e, segno del destino, proprio lui segnerà da avversario: per la prima e unica volta i 40000 giunti al Franchi per l'occasione esultano per un gol della squadra rivale, ma lo fanno per omaggiare il campione e l'uomo. Perché Borja Valero è stato uno dei giocatori più rappresentativi degli ultimi anni, ma Antognoni è per sempre.

Pier F. Montalbano
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2009, Genoa-Fiorentina 3-3, Mutu regala ai viola un pezzo di Champions

La rimonta della Fiorentina a Marassi firmata da Adrian Mutu, che ribalta il 3-0 rossoblu



La storia viola di oggi vuole celebrare uno dei giocatori più rappresentativi dell'ultimo decennio della Fiorentina, che esattamente ieri ha compiuto 39 anni. Il fenomeno così come era soprannominato in riva all'Arno, è stato protagonista dell'epopea di Cesare Prandelli e con il giglio sul petto ha messo insieme 69 reti in 143 presenze. Ma quel giorno Adrian Mutu si superò e realizzò una tripletta preziosa per le sorti del campionato 2008/09.

Il 15 febbraio la Fiorentina va a Marassi in quello che è un vero e proprio scontro diretto per la Champions, i viola sono quarti ma solo un punto li divide dai rossoblu di Gasperini, autentica rivelazione del torneo che inseguono a 41 e guidati da un Diego Milito in versione Re Mida. L'argentino al 12′ sveste però i panni del goleador e regala a Thiago Motta uno splendido assist che chiude il triangolo e mette l'ex Barcellona davanti a Frey per il facile 1-0 che manda in visibilio la Gradinata Nord. Il Genoa mette alle corde la squadra viola anche dopo il doppio giallo alla mezz'ora sventolato da Rizzoli a Biava e poco dopo la discesa di Mesto sulla fascia destra è il preludio al raddoppio di Palladino. Fiorentina stordita, che come dirà Mutu nel dopo gara "non riusciva a mettere in fila tre passaggi". Nonostante la superiorità numerica, nella ripresa il canovaccio non cambia e un'entrata scomposta di Gamberini su Criscito all'imbocco dell'area costringe l'arbitro a decretare il rigore che Milito trasforma senza problemi. È il 55′ e il finale sembra già scritto.

Ma non per Adrian Mutu, autore fino a quel momento di una gara ampiamente sottotono. I campioni però si sa, vengono fuori nel momento del bisogno e sono riconosciuti come tali quando riemergono dalle sabbie mobili fuggendo dalla mediocrità. Una mano alla Fiorentina la dà Rubinho, che esce in maniera approssimativa sul cross di Comotto e costringe Bocchetti ad atterrare Gilardino: Rizzoli fischia il secondo rigore nel giro di pochi minuti e il rumeno dal dischetto spiazza il portiere e riaccende la fiammella della speranza. La Fiorentina forte dell'uomo in più inizia a crederci, e sebbene gli attacchi siano molto spesso troppo confusionari ci pensa ancora Rubinho a elargire regali sulla punizione dai trenta metri del numero 10 smanacciata in bagher sulla traversa prima di entrare lentamente in rete. Mancano dieci minuti e solo un gol adesso divide le due squadre. Ma chi se non Mutu poteva risolvere una domenica così complicata? A tempo quasi scaduto dopo un batti e ribatti al limite il fenomeno di Călineşti scocca un destro a giro che fa esplodere la panchina e il settore ospiti per un 3-3 che alla fine dell'anno risulterà decisivo per le sorti del campionato viola.

Quel 15 febbraio ebbe diversi strascichi anche dopo il triplice fischio finale, quando la moglie dell'attaccante viola Bonazzoli, inviata a Marassi per la trasmissione Quelli che il calcio... fu aggredita in tribuna per il passato blucerchiato dell'attaccante e la sciarpa viola al collo. Ma l'episodio più grave avvenne al di fuori dello stadio con il pullman viola, assalito dai supporter rossoblu, che investì Gabriele Amato senza che l'autista si fosse accorto di nulla. Il tifoso del Genoa, dopo un mese passato nel reparto di rianimazione dell'ospedale San Martino, fu per fortuna dichiarato fuori pericolo. E per la Fiorentina, dopo il pareggio alla 37^ di Lecce (sia lodato Martin Jorgensen) arrivò la matematica qualificazione in Champions, al termine di un duello avvincente di sorpassi e controsorpassi con i rossoblu di Gasperini.

Pier F. Montalbano
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15 ottobre 1972, l'esordio di Antognoni: inizia l'epopea dell'Unico 10

Antognoni e la Fiorentina, il legame indissolubile tra l'Unico 10 e la maglia viola: oggi vi raccontiamo come tutto ebbe inizio

Il 15 ottobre del 1972 è la data legata a un uomo che ha speso tutta la sua carriera per i colori viola. Quel pomeriggio d'autunno allo stadio Marcantonio Bentegodi di Verona esordiva con la maglia numero 8 e il giglio sul petto Giancarlo Antognoni. Un giocatore che in campo ha fatto innamorare generazioni di tifosi e la cui leggenda è arrivata fino ai giorni nostri; anche chi non ha potuto ammirare negli anni '70 e '80 le sue gesta sul rettangolo verde ha il padre, un nonno, un amico che ha potuto osservare da vicino e narrare le gesta e la parabola un campione tanto elegante in campo quanto sfortunato.

La Fiorentina lo scovò in Serie D in una piccola società di Asti, ed Egisto Pandolfini – uno dei miti viventi del calcio fiorentino e al tempo allenatore delle giovanili, scout e mentore di molte altre promesse come Roggi e Guerini – caldeggiò il suo nome al presidente Ugolini e all'allenatore di allora Nils Liedholm che ne rimase subito impressionato. Nel 1971 Ugolino Ugolini si sedette sulla poltrona di presidente viola e sin da subito la politica societaria fu quella di far quadrare il bilancio e provare ad ottenere risultati soddisfacenti. L'emergente Liedholm porta la Fiorentina al quinto posto nel '71/'72 e dà l'ok al trasferimento di Antognoni per 435 milioni. Il suo merito, oltre che portare la squadra al quarto posto nell'annata '72/'73, fu quello di lanciare Antonio nel calcio che conta. Il giorno dopo il suo esordio (vittoria per 1-2 contro l'Hellas Verona), la stampa ne elogiò le qualità e la prestazione definendolo sin da subito il nuovo Rivera.

Numero 10 per vocazione naturale, L'Unico 10 per tutti, a Firenze ha speso – e spesso sacrificato – tutta la sua carriera alla causa viola. 429 partite e 72 gol non rendono del tutto l'idea di ciò che ha rappresentato Antognoni per la Fiorentina. Due infortuni gravissimi hanno minato infatti la sua carriera: nel novembre '81 la ginocchiata alla testa del portiere del Genoa Silvano Martina gli causò una frattura al cranio e gli fermò addirittura il battito cardiaco per alcuni minuti, tre anni dopo un tackle con il sampdoriano Luca Pellegrini riportò la frattura scomposta di tibia e perone.

In viola ha vinto solo una Coppa Italia e la Coppa di Lega italo-inglese nel 1975, ma la più grande soddisfazione della carriera se l'è tolta vincendo il Mundial 1982, non riuscendo però – altra beffa dopo lo scudetto sfuggito all'ultima giornata nello stesso anno – a scendere in campo nella finale contro la Germania per un infortunio patito contro la Polonia. In Svizzera ha speso gli ultimi scampoli di carriera da calciatore, per tornare alla Fiorentina come general manager sotto la presidenza Cecchi Gori. Dopo 15 anni di esilio – si dimise dal suo incarico dopo l'esonero di Fatih Terim – e di gelo con i Della Valle, da un anno è tornato in viola nelle vesti di team manager: la leggenda di Antognoni può così continuare...





Pier F. Montalbano
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